giovedì 23 agosto 2018

Cinescopio: Mary Shelley di Haifaa Al-Mansour (Recensione)

MARY SHELLEY

Buongiorno e buon giovedì Evereaders! Torna il nostro caro amico Sunday per parlarci in anteprima di Mary Shelley di Haifaa Al-Mansour.
MARY SHELLEY
                                                                         

REGIA: Haifaa Al-Mansour | GENERE: Biografico

SCENEGGIATURA: Emma Jensen e Haifaa Al-Mansour | DURATA: 106'

PRODUZIONE: GIDDEN MEDIA PARALLEL FILMS JULIETTE FILMS BFI FILM FUND | ANNO: 2018

DISTRIBUZIONE: Notorious Pictures | USCITA: 29 ago 2018
                                                                       

TRAMA

Mary Shelley racconta la storia di Mary Wollstonecraft Godwin, autrice di uno dei più famosi romanzi gotici del mondo "Frankenstein", e della sua relazione ardente e tempestosa con il poeta romantico Percy Bysshe Shelley. I due giovani legati da una chimica naturale e idee progressiste che vanno oltre i limiti della loro età e del loro tempo, dichiarano il loro amore reciproco alla famiglia che li ostacola e per questo fuggono insieme. A soli18 anni, Mary è costretta a sfidare i tanti preconcetti contro l’emancipazione femminile, a proteggere il suo lavoro di scrittrice e forgiare la propria identità.


CIAK SI RECENSISCE

                                                                    

Partiamo da un presupposto: Mary Shelley è, tecnicamente, un film che ha diverse frecce al proprio arco, a partire da una regista, Haifaa al-Mansour, che ha sicuramente un roseo futuro davanti – e già è importante riconoscere che si tratti della prima regista donna dell’Arabia Saudita, arrivata in una Hollywood che già di suo fatica ancora ad aprire le porte del mestiere al genere femminile. Una regista, per dirla con le parole di Douglas Booth - il protagonista maschile - dotata di “una comprensione molto reale di ciò che voglia dire essere una donna con una storia da raccontare, ma ostacolata dalla società. Lei capisce a pieno il viaggio di Mary. Ha una grande comprensione dell’umanità, delle persone […]”.
Ma non solo, ovviamente: Mary Shelley ha una sceneggiatura, scritta da Emma Jensen, delicata e pregevole, efficace anche nell’adattamento italiano – e a questo proposito, il doppiaggio stesso è ben riuscito.
Ha una colonna sonora che mi ha colpito davvero molto, in positivo s’intende, che ho scoperto essere merito di Amelia Warner, alla quale vanno i miei più sentiti complimenti.


Elle Fanning è poi particolarmente a suo agio nei panni della protagonista, Mary Wollstonecraft Godwin, e la accompagnano attori davvero in gamba, tanto i più apprezzati come Stephen Dillane quanto i meno conosciuti, come Bel Powley, che mi ha colpito particolarmente grazie a un personaggio particolarmente spensierato capace però di brillare nelle scene drammatiche.
Se osserviamo con attenzione la faretra di questo lungometraggio, tuttavia, troveremo che non tutte quelle belle frecce sono appuntite a dovere. La regia è piena di potenziale, ma nell’arco della pellicola alterna ottimi momenti ad altri più deboli, che sembrano quasi idee abbozzate, lasciate a metà, senza il coraggio di portarle avanti, penalizzate per di più da un montaggio che non riesce ad essere sempre convincente – per quanto sia davvero buono qua e là, penso ad esempio alla sequenza dell’effettiva scrittura del romanzo, di Frankenstein, realmente d’impatto. La sceneggiatura, di base più che dignitosa, forza qua e là la mano nel cavalcare l’onda del movimento #MeToo senza riuscire però a integrarlo adeguatamente nella storia che vuole raccontare, e facendo così apparire alcuni messaggi come posticci e paternalistici. Douglas Booth, nei panni di Percy Shelley, ci regala una buona performance, ma non c’è ripresa con lui presente in cui non mi sia sembrato di osservare Edward Cullen in Twilight.


Mary Shelley ha una storia che, almeno per chi – come me – non è particolarmente esperto della vita di questa celebre autrice, è sicuramente interessante… Allo stesso tempo, fa fatica a mantenere l’attenzione dello spettatore alta in ogni momento, a causa di un’impostazione da biopic estremamente classica. Fa storcere il naso, a dirla tutta, anche l’utilizzo del nome di Maisie Williams nella campagna marketing, dal momento che la nostra Arya Stark è di sicuro sulla cresta dell’onda per riconoscibilità e successo, ma non compare in più di un paio di scene nella prima parte del lungometraggio.

Il consiglio, ad ogni modo, è di andare al cinema a partire dal 29 agosto e dare una chance voi stessi a Mary Shelley. Se siete curiosi di scoprire la sua storia, andate a scoprirla. Se vi piacciono i drammi in costumi, andate. Se cercate una storia di emancipazione e libertà personale, correte. Se siete convinti che ci siano molti modi di amare, forse è il film che fa per voi, perché questa non è una storia d’amore classica. Ma non posso neanche dirvi tutto io: avete letto come la penso, ora è tempo che siate voi a dirmi, quando l’avrete visto, quanto sarete rimasti soddisfatti.

Hasta pronto! -Sunday

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