INTERVISTA A ALESSANDRO Q. FERRARI
Buongiorno e bentrovati amici di Everpop! Oggi lasciamo la parola a Alessandro Q. Ferrari che ci parla del suo nuovo romanzo Devo essere brava.
my point of view
Come nasce il tuo romanzo? Da quale esigenza e da quale esperienza?
Nasce da un misto di esigenze ed esperienze.
Nel senso che è nato dal bisogno di esprimere quella che è stata per me l'adolescenza, che poi credo sia anche un po' l'adolescenza di tutti. Quel momento in cui tutto sembra sbagliato, compreso noi stessi, ma allo stesso tempo si prova quella voglia di trovare il nostro io da qualche parte, capace di ricostruire un mondo che ci appartenga.
Questa è l'esigenza che ho sentito interiore. Che era semplicemente raccontare la verità di come io ho vissuto l'adolescenza che non è stata necessariamente l'adolescenza di Sara, ma dal punto di vista delle emozioni è stata pienamente l'adolescenza di Sara, ed è ancora oggi così. E penso che questa cosa appartenga in realtà a tutti noi: non penso che si smetta mai di essere adolescenti, mai. Quando senti dire che "prima o poi superi quella fase" è solamente un'illusione che alcuni adulti ti raccontano e si raccontano in primo luogo. Io penso invece che quella fase non si superi mai, ci appartiene e ci resta dentro sempre, resta come una gabbia di noi stessi, con all'interno il nostro giovane io che di tanto in tanto risorge e fa sentire la sua rabbia, quella rabbia per un mondo che non ci appartiene e in cui non ci riconosciamo, che in primo luogo non ci permette di amare noi stessi.
Per quanto riguarda le esperienze, dire che c'è molto della mia esperienza vissuta dal punto di vista del paese, visto che sono cresciuto in un luogo a metà strada tra la città e il paese; questo mi ha dato la possibilità di vivere entrambe le realtà e da un certo punto di vista mi ha portato a non sentire quel senso di appartenenza a nessuna di queste due realtà. Che è l'espressione perfetta dell'adolescenza, no?
Infine una curiosità! La storia è nata con la prima frase. Avevo già in mente la storia di Sara, ma l'intero libro è nato tutto dalla frase di Sara: "Dovete ascoltare la storia perché ne ho bisogno io". E' nato tutto da lì.
La prima domanda d'obbligo prende spunto dalla frase delle Murgia che anticipa la tua storia: Perché, dopo Mario (il protagonista del tuo primo libro) hai scelto di scrivere al femminile, ma soprattutto com'è stato per te vestire i panni di una ragazza particolare come Sara?
In realtà Mario non è propriamente la mia voce dell'epoca, mentre Sara, e ancor più Rocku, si avvicina molto di più al me adolescente, quindi è stato meno difficile entrare nel personaggio e parlare attraverso di lei. Quando è nato questo libro non avevo deciso di raccontare dal punto di vista di Sara o che doveva essere la voce di Sara, è semplicemente eruttata nella mia testa. In qualche modo non è una voce estranea, ma è la voce dell'adolescente che è in me; quella rabbia e quel modo di parlare sono letteralmente nati dentro di me.
La cosa strana è che mentre lo scrivevo lei si andava piano piano costruendo. La sua caratteristica di porsi domande mentre parla? Ecco, quella è una caratteristica nata proprio mentre scrivevo. Man mano che cresceva la sua voce diventava sempre più precisa e diventava una voce a se dentro di me.
Per quanto riguarda la frase della Murgia invece l'ho inserita perché quando l'ho letta mi è piaciuta molto e devo dire la verità, mi ha dato il coraggio di scrivere questo libro, per questo è lì quella frase. Avevo molto timore di affrontare una voce femminile; avevo paura di sbagliare, di commettere errori gravi, però quando ho letto quella frase mi son fatto coraggio, perché in quel frammento la Murgia sottolinea come non sia difficile entrare nei panni femminili se si sviluppa e si ha una certa empatia. Possiamo farlo tutti, basta impegnarsi e studiare, l'empatia ci porterà nei panni di chiunque.
Non si tratta quindi di entrare nei panni di una ragazza, ma bensì dare forza ad una storia femminile, ed è grazie a quella frase (alla fine lo scopo delle frasi è quello no?) che ho superato quel momento di "paura".
Dovevo crederci, perché la voce che avevo dentro era la sua, era la voce di Sara.
La trama si sviluppa attraverso il discorso diretto tra Sara e il lettore e dal modo di raccontare della tua protagonista sembra quasi che lei stia parlando con un caro amico, qualcuno che la conosce per davvero. Perché hai scelto questa comunicazione così diretta e "carica di fiducia"?
In realtà la scelta è successiva.
E' nato così il modo di parlare. Il libro veniva fuori così.
Mi sono posto, prima a me stesso e poi all'editor, la domanda "ma va bene questo suo modo di rivolgersi al lettore in questo modo?". Dovevo toglierla o lasciarla? La scelta è stata ovviamente quella di tenerla, perché per me funzionava perché era il modo di parlare che aveva Sara, cioè come se si rivolgesse ad un amico. Parliamo quindi sì di fiducia, ma io parlo anche di un modo conflittuale di rivolgersi ad un amico; se notiamo a volte lei mente, non ci dice tutta la verità, a volte addirittura rivela in seguito delle cose. E' proprio come in un rapporto di amicizia, proprio come dicevi. Sara è infatti alla ricerca di un rapporto di amicizia, di un amico, perché in realtà a parte con Fumo, con cui costruisce quel rapporto, non ha veri e propri amici.
Ma non è proprio questo che cerchiamo e ricerchiamo nei libri e nei protagonisti delle storie che leggiamo?
Un aspetto assai caratterizzante della tua Sara è la sua costante ricerca di risposte e di certezze. Non a caso pone costantemente domande ai lettori, ai suoi amici come dicevamo prima, e quindi mi sorge spontaneo chiederti perché cercare certezze proprio nel lettore? Che è una cosa inusuale ma che allo stesso tempo funziona a livello attrattivo ed empatico.
Secondo me non è tanto alla ricerca di certezze, quanto più il contrario. E' alla ricerca di amicizie certo, ma cerca ancor prima fiducia in se stessa, per credere poi a quelle certezze. Io credo che quelle domande che continua a porsi non sono domande che esigono una risposta, tanto è vero che a volte è lei a darsi una risposta da sola. Io credo che lei sia alla ricerca del coraggio per rispondere a quelle domande; lei non osa essere così come vorrebbero quelle domande, un esempio è il suo "devo essere brava" che rientra tra le domande.
Le sue sono sempre domande su se stessa e quindi penso che il suo sia più il timore di ammettere di essere in un modo, di riconoscere che sta diventando "quel tipo" di persona.
Credo che lei si stia costruendo e nella sua costruzione lei si ponga delle domande per capire se sia giusto quello che stia facendo. Che è il contrario di "Devo essere brava".
Come nasce il linguaggio di Rocky?
Prima di parlare di Rocky, che mi piace tantissimo soprattutto per come parla, voglio fare una premessa: se vi state chiedendo come parla Marta Colibrì la risposta è NON LO SO! Non ne ho idea e non so neppure da dove venga questo personaggio e il suo modo di parlare. E' venuta da sola.
Per Rocky è diverso, c'è molto più lavoro dietro. All'inizio il linguaggio è nato da solo, spontaneamente, poi ho preso una direzione classica. Nel suo modo di parlare ad esempio c'è tanto Calvino (perché a me piace tanto Calvino) e i suoi giochi di parole, letterari e classici, ma anche un po' aulico come costruzione.
Ho scelto di proseguire quindi in quella direzione, ma poi c'è anche una parte legata all'esperienza personale. Per tanti anni infatti ho fatto tanto volontariato e ho avuto la fortuna di poter conoscere tanti ragazzi con paralisi celebrali, che è il motivo che mi ha spinto a raccontare Rocky. La cosa che mi ha affascinato tanto di questi ragazzi è che non c'è nessuno uguale all'altro, alcuni addirittura mi hanno più che stupito perché parlavano con un linguaggio estremamente forbito e costruito, limitato magari nei vocaboli, ma con una costruzione straordinaria e quindi mi affascinava questo modo in cui il linguaggio fosse diverso da persona a persona (ma del resto anche noi parliamo in modo diverso), ma soprattutto così poco consueto.
Poi mi sono accorto che anche gli stessi ragazzi di oggi, soprattutto delle medie, parlano in modo così particolare, pur non avendo nessuna paralisi celebrale e son convinto che anche tutti noi, alle medie parlavamo così, smettendo poi però con la crescita. Alle elementari/medie si è più costruiti e cercavo proprio quella costruzione che fosse allo stesso tempo classica e sbilenca. Lo scopo era quello!
Però in primo luogo Rocky deve tanto a Calvino.
Infine una curiosità sui nomi. E' stata una coincidenza quella di chiamare il padre Abramo?
Io sono ossessionato dai nomi!
Non è un caso che il padre si chiami Abramo, così come non è un caso che Federico si chiami così.
Ma c'è un altro gioco nel libro: quasi tutti i nomi femminili sono nomi adespoti, il che significa che non ci sono santi legati a quei nomi. Era una cosa che mi affascinava molto, perché mi piaceva giocare con la fede anche in questo. E' un gioco ma allo stesso tempo può avere un significato più grande.
Per esempio all'inizio lei parla della chiesa di Santa Esme; Esme non era una santa, il suo è un nome adespota, non c'è nessuna Santa Esme. Il fatto che la chiesa si chiami così è come un ripartire da zero per me. Con questi nomi è un po' come ricreare una storia sacra, partendo con noi che non hanno una valenza sacra. Quelli che invece hanno nomi sacri hanno un motivo. Abramo si chiama così perché tradisce la figura del padre, volevo che il suo nome fosse biblico, invece gli altri è come se ricostruissero una figura sacra, a partire da qualcosa che non è mai stato sacro.
DEVO ESSERE BRAVA
- Autore:Alessandro Q. Ferrari
- Editore:DeA Planea Libri
- Genere:Narrativa Contemporanea
- Pagine:320 pp
- Uscita:08 Settembre 2020
- Prezzo:€ 15,90
- Nazionalità:Italiana
TRAMA
Sara deve essere brava. Deve essere brava, e non ci sono alternative. Perché in caso contrario non rivedrà più suo fratello Rocky, non glielo lasceranno portare a casa, non potrà mai viverci insieme. E Rocky è tutto ciò che vuole dalla vita. Quello e andarsene da Roveto, dove il grigiore annebbia la mente e impedisce di vedere il futuro. Certo, il fatto che suo padre se ne sia andato non aiuta. Nemmeno che sua madre abbia trovato lavoro in città e abbia deciso di abbandonarla. Ha la rabbia ai denti, Sara. È questo mondo storto e sbagliato, dove una diciassettenne può ritrovarsi all'improvviso sul baratro di un abisso, che gliela fa venire. E lei ha bisogno di distruggere, mordere, rompere, forse anche solo per togliersi quel sapore nero che ha in bocca, come se l'unico modo di avvicinarsi alla realtà fosse azzannarla. Sara deve essere brava, per trovare una via d'uscita a tutto questo. Ma da sola non può farcela. Può farcela? Amicizie sbagliate, ragazzi sbagliati, adulti sbagliati. Sara sa solo ripetersi quello che deve ma non riesce a essere. Finché una notte, a Roveto, tocca il fondo dell'abisso, e capisce che è il momento di risalire. Non importa se tutto il mondo le è contro, niente potrà fermarla. Dall'autore del libro "Le ragazze non hanno paura", una storia che racconta la ferocia e la grazia dell'adolescenza.
Nessun commento :
Posta un commento